1647, la rivoluzione napoletana si affaccia a Pozzuoli. Una galea si ammutina





Nel 1647, con gran parte di Napoli nelle mani dei rivoltosi di Masaniello, nei porti di Baia e Pozzuoli staziona la piccola flotta vicereale al comando di Giannettino Doria, discendente del grande ammiraglio Andrea Doria.
Con la morte di Masaniello, tradito da suoi seguaci prezzolati dai realisti, la rivolta non si spegne e anzi assume, sotto la guida del nuovo capopopolo Gennaro Annese, un marcato carattere antispagnolo.
L’8 ottobre gli insorti ingiungono a Pozzuoli, che sotto la guida del vescovo Martin de Leon ancora sostiene i legittimi diritti spagnoli, l’invito a partecipare attivamente alla ribellione. Il 19 gennaio del 1648 i popolani napoletani, offesi che i puteolani non s olo non si sono uniti a loro nella sollevazione ma continuano a fornire aiuti ai regolari spagnoli, con seimila uomini armati si muovono per assalirla e soggiogarla. Pozzuoli e i suoi cittadini (uomini, donne, bambini e clero) eroicamente arresta e respinge i napoletani fin oltre l’antica cripta.
Domenica 2 febbraio 1648 Doria, stando a Pozzuoli, scende a terra per udir messa e adempiere agli obblighi spirituali; in questo è accompagnato da un vastissimo seguito composto da servitori, ufficiali, soldati e altri gentiluomini ospiti a bordo. Con gran pompa e in corteo si recano presso la chiesa Gesù e Maria dove officiano i
Frati Domenicani, ospitati nell’annesso conveno. Per adempiere a questo dovere l’ammiraglio commette una grande impudenza: lascia sguarnite le due galee sulle quali si trovano numerosi rematori ma pochissimi marinai di guardia. I rematori, costituiti in genere da galeotti o schiavi mussulmani, sono in massima parte rivoltosi napoletani beccati nelle puntate offensive, condotte  lungo il litorale, e molti erano stati catturati durante il fallito attacco a Pozzuoli del precedente gennaio.
Approfittando del fatto che i pochi schiavi turchi sono scesi a terra sotto scorta, per rifornire d’acqua le due galee, il resto della ciurma della nave “Capitana” si rivolta. Le poche guardie, soldati spagnoli quasi tutti figli di popolane napoletane che li hanno concepiti con militari di guarnigione a Napoli, sono facilmente sopraffatte. Diventa facile tagliare le cime che trattengono la galea attraccata alla banchina; si rimettono tutti ai remi e rapidamente escono dal porto di Pozzuoli. Sull’altra galea, la “Padrona”, c’è pure un accenno di rivolta ma i marinai di guardia, visto cosa è successo sulla “Capitana”, non si fanno sorprendere e lanciano l’allarme; sia a coloro che scortano i turchi sia a coloro che sono a sentir messa. Dal sagrato della chiesa Giannettino Doria e i suoi uomini notano la “Capitana” che, aggirato il Rione Terra, voga celermente verso Napoli. Prontamente corrono presso la banchina e facilmente reprimono il secondo tentativo di rivolta arrestando la maggior parte dei congiurati.
Con difficoltà si cerca di ricostituire una ciurma in grado di remare ma, tra morti, riottosi, e pochi turchi, solo con ritardo ci si lancia all’inseguimento della “Capitana”. Questa, mal comandata e con non chiare idee su dove spiaggiare, è raggiunta e speronata; ma in questo episodio la “Padrona” perde il timone e purtroppo il suo equipaggio vede la “Capitana” nuovamente allontanarsi.
Gli ammutinati raggiungono la riva di San Giovanni a Teduccio dove sono aiutati a sbarcare dai popolani che presidiano la zona; Giannettino sopraggiunge con altre due galee, partite da Baia, e inizia a tirare molte cannonate contro i ribelli. Ormai è tutto inutile ed è pericoloso accostarsi troppo a terra; Giannettino Doria è
ormai rassegnato a subire questo scacco, con la perdita della galea, dei suoi cannoni e dei ribelli condannati ai remi. I popolani provvedono subito a sbarcare il grosso cannone di corsa, sistemato a prua, e le altre artiglierie collocandole alla punta di Posillipo; con questi iniziano a bersagliare tutto il naviglio, in continua spola tra Pozzuoli e i castelli costieri ancora tenuti dagli spagnoli. I legni mercantili che, condotti da marinai puteolani, intendono portare aiuti agli assediati spagnoli, sono costretti a navigare solo di notte e ccomunque molto al largo. La parentesi rivoluzionaria si conclude solo il 6 aprile 1648, quando don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Filippo IV e da lui nominato Viceré, alla guida di una flotta proveniente dalla Spagna riprende il completo controllo di Napoli e del suo Regno.
Giuseppe Peluso





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