Il primo libro è di un’autrice che definire un “classico” è dire poco. Eppure, il nome di Ursula Le Guin, scrittrice americana morta nel 2018 a 89 anni, dice qualcosa solo ai cultori della fantascienza e del fantasy. Relegarla però all’ambito della letteratura fantastica è un grave limite, perché lei, figlia di un famoso antropologo, ha saputo affrontare nelle sue opere temi molto profondi e ancora oggi di capitale importanza. Come nel libro che ho letto, “La mano sinistra delle tenebre” (o “del buio”, come nell’ultima versione). A chi inizia a leggerlo, sembra all’inizio un romanzo che non racconta nulla, e anche di difficile lettura: ma se si ha la pazienza di proseguire, ci si rende conto di essere stati proiettati nella stessa situazione del protagonista. Che è un afro americano (dettaglio non secondario), ambasciatore dell’Ecumene, una lega di pianeti, in un pianeta totalmente alieno. Il suo compito è entrare in relazione con la cultura di quel mondo, con il modo di relazionarsi dei suoi abitanti, con le sue religioni, e soprattutto con una particolarità che rende quella civiltà unica: gli abitanti non hanno un sesso definito, in alcuni giorni del mese sono maschi e in altri femmine. Questo segna tutto il loro modo di esprimersi, e anche la loro letteratura e la loro arte. Ecco, il libro racconta la graduale scoperta del protagonista di un modo “altro” di essere, che gli pone la domanda: come parlare con chi è diverso da me, fin nel più profondo, fin dal suo DNA? Come relazionarmi con una cultura in cui valgono alcuni principi che sono del tutto “diversi” dai miei? Come dialogare con chi non comprende me, allo stesso modo in cui io non comprendo lui (anzi: lui/lei…)? Come si vede, non sono temi banali, domande da poco, e forse è una lettura in alcuni tratti impegnativa: ma ne vale la pena, anche per la risposta che alla fine viene data. Posso entrare in relazione con chi è diverso da me solo se so ascoltare, se sono solidale con lui (anzi: lui/lei…), se non giudico e non penso di essere superiore, se non cedo alla tentazione di imporre il mio modo di pensare. Alla fine, cioè, quello che mi permette di entrare in relazione con chi è diverso da me, dice l’autrice, è l’amicizia e l’amore! Senza questi atteggiamenti, nessuno – né il protagonista del libro, né noi, oggi – possiamo davvero aprirci a mondi che sono così distanti da tutto quello che abbiamo finora conosciuto.
E un mondo che può sembrarci del tutto lontano da noi è quello raccontato in un piccolo gioiello, un volumetto di una settantina di pagine, “Le ballate di Narayama”, di un autore giapponese, Fukazawa Shichirō. Protagonista l’anziana Orin, che con gioia e serenamente accetta la legge ancestrale, ma crudele e atroce per noi, di essere abbandonata dal figlio sulla cima di un monte, per fare spazio a due nuove bocche da sfamare. Un libricino prezioso, delicato, pervaso di serena accettazione della fragilità umana, a cui si riesce a dare il senso ultimo di dare la vita per chi si ama. Due libri non facili, dunque, ma che possono aiutarci a crescere anche in questo tempo estivo.