Parole in libertà. L’utopia dell’uguaglianza. Priorità verso la cura degli altri





Com’è la società comunista perfetta, quella sognata da milioni e milioni di uomini nel corso della storia, e per la quale moltissimi hanno dato la vita? Dovrebbe essere una società in cui tutti vivono insieme e hanno ogni cosa in comune (sennò, che “comunismo” sarebbe?); in cui non esiste dunque la proprietà privata, anzi nessuno dovrebbe considerare come sua proprietà quello che ha, ma dovrebbe venderlo e condividerlo con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Una simile redistribuzione della ricchezza porterebbe a una conseguenza inevitabile: l’eliminazione della povertà. Nessuno sarebbe bisognoso, se l’autorità centrale dà a ciascuno secondo il suo bisogno. Utopia? Forse. Ma non secondo il Nuovo Testamento, nel libro degli Atti degli Apostoli, che racconta eventi e personaggi dei primissimi anni di vita della comunità dei discepoli di Cristo: non ho inventato nulla, la società “comunista” perfetta è quella raccontata in questo libro (At 2, 44-45. 4, 32-35). È una descrizione della primitiva comunità piuttosto idealizzata, a dire il vero: diciamo che Luca, l’autore degli Atti, ha un po’ calcato la mano nel descrivere l’uso dei beni materiali e della ricchezza di ognuno nella Chiesa delle origini. Però, la descrizione sta lì, e si presenta se non altro come un ideale a cui tendere.

Tutto questo non è quindi solo un sogno, un’utopia: è una meta che come cristiani dovremmo cercare di raggiungere. Di più: è il progetto della nuova società che scaturisce dal vangelo. Quando Gesù, il “sovversivo di Nazareth”, racconta la parabola di Lazzaro e del ricco, questo sta dicendo: la disparità di ricchezza tra i due segna la condanna del ricco mangione. Si può anche essere ricchi “buoni”, si può anche usare la propria ricchezza per finanziare progetti umanitari e di sostegno alla povertà, ma il fatto stesso che esista un ricco e un povero segna la condanna di questo mondo, di questa società, di questo modo di distribuire tra gli uomini i beni materiali – che, secondo la visione biblica, non appartengono a nessuno, perché sono di Dio -. Lo ha ricordato Papa Leone, qualche tempo fa, quando ha detto: «Ho letto la notizia che Elon Musk è destinato a diventare il primo triliardario al mondo. Cosa significa e di cosa si tratta? Se questa è l’unica cosa di valore oggi, allora siamo nei guai». Il Papa ha poi aggiunto un dato sconcertante: gli amministratori delegati, guadagnavano sessanta anni fa da 4 a 6 volte più dei lavoratori, ma oggi il divario si è accresciuto, e un amministratore delegato guadagna in media 600 volte più di un lavoratore. Papa Leone ha concluso dicendo che questa non è solo una questione economica, ma un problema morale che minaccia l’equilibrio sociale. Non può essere che così: la concentrazione della ricchezza in poche mani è contrario al progetto di Dio, in cui ogni uomo è figlio di Dio, e come tale ha diritto a vedere soddisfatto il suo bisogno. L’ultimo rapporto della rivista Forbes (marzo 2025) individua 3028 miliardari nel mondo, con un patrimonio medio di 5,3 miliardi di dollari ognuno. I primi 5 miliardari della lista hanno un patrimonio di 2400 miliardi di dollari, ed esistono nel mondo 15 “centimiliardari” (con oltre 100 miliardi di dollari). «Cosa rimane della nostra umanità?», si è chiesto Papa Leone. Qualcuno potrebbe chiedersi: io non sono miliardario, cosa posso fare? Penso, invece, ci siano molte cose che possiamo fare, al di là del vivere in modo sempre più pieno la condivisione, uscendo da quell’egoismo che spesso la ostacola. Questo è però solo un primo passo, forse il minimo: per me la cosa più importante è prendere consapevolezza dell’oggettiva ingiustizia di questa realtà, e di come essa sia in contrasto con il vangelo. Diventa fondamentale per ogni cristiano porsi la domanda che si poneva dom Helder Camara, arcivescovo di Recife, quando in modo ironico diceva: «Se faccio la carità a un povero, tutti mi dicono che sono un bravo cristiano. Ma se chiedo perché quel povero è povero, allora sono comunista!». Se non dessimo per scontata l’ingiustizia e l’iniqua distribuzione della ricchezza nel mondo, allora ci sentiremmo ribollire il sangue per ogni forma di oppressione e di negazione della dignità delle persone, di ogni singola persona. E ci sentiremmo chiamati dalla parola di Dio a costruire un mondo in cui la cura dell’altro diventa la nostra prima esigenza. Sarebbe solo un primo passo, ma quello fondamentale.





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