La chiamano “Margherita Unicef”, identificandola così con il Fondo delle Nazioni Unite che si occupa dell’Infanzia. All’indomani della straordinaria campagna di raccolta di coperte per le popolazioni terremotate del 1980 – mobilitazione che appena 4 anni dopo fu seguita da quella per l’Etiopia – Margherita Dini Ciacci fu insignita di una medaglia d’oro dell’Onu come “Donna della Pace”; un’altra le fu conferita dal Parlamento Europeo. E non si è fermata mai, correndo come una trottola dalle “ville miseria” (baracche) in Argentina alle Giornate dell’Infanzia nell’entroterra campano. Quest’anno il suo enorme impegno per l’infanzia napoletana, italiana e di tutto il mondo compie 40 anni: nel 1979 – Anno Internazionale del Bambino – d’intesa con il presidente nazionale Arnoldo Farina fondò il Comitato regionale per l’Unicef. E alla fine di febbraio è stato presentato a Napoli il bilancio dei 10 anni del progetto “Scuola Amica”.
Perché l’Unicef si interessa di bullismo?
«La premessa è diffondere in tutto il mondo il progetto culturale “Cittadini del mondo”: cittadini aperti all’accoglienza, integrazione, solidarietà; cittadini che fin da piccoli imparino che stare insieme non vuol dire affrontarsi, bensì integrare capacità, culture, religioni in modo da essere un solo popolo di Dio. L’Unicef ha sempre avuto due mandati. Il primo è la raccolta fondi come risposta quotidiana alle emergenze dei popoli della fame, sete, malattie, guerre: in una parola, dei Paesi con grandi ingiustizie sociali. Però l’Unicef deve anche pensare ai bambini italiani. Ci sono bambini poveri non perché manchi qualcosa, ma perché le istituzioni, i governi non fanno il loro dovere».
Che cos’è il bullismo?
«È il modo con cui dei giovanissimi reagiscono alla violenza che hanno già dentro, prendendosela con coetanei che “sono al di fuori di loro” e cioè con i compagni che in qualche modo sono più deboli. Il fenomeno sta riguardando ragazzini sempre più piccoli, sin dalle elementari: chiedono soldi al compagno di banco, minacciando di fare qualcosa ai suoi genitori. Il bullismo sta prendendo radici pericolose e vergognose. In una scuola del Vomero – una scuola bene con ragazzi bene – anni fa scoprimmo un episodio di bullismo ai danni di una mia nipotina, perché pur andando benissimo in italiano scriveva sempre più spesso errori nel tema. Sembrava inconcepibile e volli parlare con lei; così seppi che in classe c’era chi le diceva “Tu vai troppo bene, o fai qualche errore per non avere più i voti alti oppure ti facciamo passare un guaio”. Forse più per amicizia che per paura incominciò a fare volutamente degli errori nei temi. Ma quando la mamma andò a parlare a scuola le due ragazze si calmarono e la piccola ritornò a scrivere bene. Le bulle? Erano ragazze di buona famiglia, intenzionate ad aggredire l’alunna più docile della classe. L’anno scorso un caso simile è capitato alla figlia di un mio collaboratore: un compagno le chiedeva soldi minacciandola di prendersela con la mamma. E allora lei rubava in famiglia. Parlai con la bambina e le suggerii di reagire, lei parlò con i genitori, si sono mossi e non è successo più nulla».
Per parlare ai bulli occorre partire dai genitori…
«I bulli sono ragazzi o non educati per niente oppure educati male. Bisogna risalire all’adulto o a chi ha la funzione parentale; a volte purtroppo non hanno nemmeno i genitori oppure hanno genitori con problemi di illegalità… Nemo dat quod non habet, nessuno può dare quel che non ha. Se tu dentro non hai valori e ideali, cosa trasmetti a tuo figlio? Ecco il punto fondamentale. Chiaro che ci sono cattivi genitori come cattivi insegnanti. Il discorso del bullismo va affrontato in maniera comunitaria, con genitori e insegnanti perché i veri bulli spesso sono proprio genitori o parenti sbagliati da cui i ragazzi prendono esempio. C’è la legge 176/1991 con cui lo Stato italiano ha ratificato una convenzione internazionale. Ebbene, nella premessa è scritto che la più piccola democrazia è la famiglia ed è appunto in famiglia che vengono vissute le regole della convivenza pacifica tra le persone: se quella democrazia fa acqua, se quelle regole non sono nella famiglia sicuramente il ragazzo porterà le non regole nei centri dove va: nella scuola, lo sport, il circolo».
Colpa della società?
«È inutile parlare di bullismo chiamando in causa povertà, miseria, devianza. Contano i valori. Io ho trovato persone bisognose, ma fedeli a idee e valori morali. Il cristiano ha doppio obbligo di far crescere i figli in modo giusto, però anche se non sei cristiano hai il dovere di seguire insegnamenti morali, altrimenti non potrai mai crescere i tuoi figli bene, e cioè nella consapevolezza che se non si è uniti il mondo crolla. L’apocalisse è quello che sta avvenendo adesso. Ma ci sono giovani che cominciano a ribellarsi, penso ai ragazzi dei licei di Milano che fanno iniziative per l’ambiente: hanno ragione, dicono “state distruggendo un mondo nel quale non potremo vivere”. E magari quegli stessi giovani hanno incominciato a distruggerlo da bambini per l’esempio dei genitori; ricordo una signora ecologista che combatteva contro l’inquinamento e aveva tre auto a disposizione…».
E allora predico in un modo e razzolo in un altro?
«Predicare vuol dire dare l’esempio e questo è un altro punto fondamentale: la testimonianza dei valori. Se io padre sono un buon uomo – lavoro, sudo, penso a te, non rubo, non faccio male al prossimo – tu figlio, a meno che non hai un problema al cervello, seguirai tuo padre. Ma se c’è l’esempio sbagliato… Penso a genitori che vanno a scuola a contestare l’insegnante che ha dato un brutto voto al figlio. Chiaro che ci sono anche pessimi insegnanti e andrebbe fatta la loro selezione a monte, ma per carità non permettiamoci di contestare il loro insegnamento. Bisogna cambiare la mentalità degli adulti. I ragazzi sono buoni dentro, ma ricevono un bombardamento di negatività».
Anche grazie al web. Ed ecco che spunta il cyberbullismo…
«I minori fanno quel che vogliono davanti a pc e cellulari. E possono essere preda di persone, ma anche del mondo virtuale. C’è un gioco terribile, la Balena Blu. Ci sono ragazzi che lo prendono come uno scherzo ma piano piano si trovano prigionieri del gioco che li sfida fino al coraggio estremo per dare la prova della loro forza e sprezzo del pericolo. E c’è chi si suicida. Ma come fare per far sparire un gioco simile? Torno al punto dei valori: se un giovane ha qualcosa in cui credere non ci casca. Nel nostro progetto culturale ho privilegiato la musica. Una terra difficilissima come Acerra è conosciuta come la Città della Musica. A maggio ci sarà la Settimana della Musica e il progetto si sta estendendo alle scuole dei comuni vicini. E si recuperano ragazzi difficili. C’è un protocollo di intesa dell’Unicef Italia con il Miur e a livello locale ci rapportiamo con l’Ufficio Scolastico Regionale. Hanno capito che insieme facciamo crescere le nuove generazioni».
Salvatore Manna